Giorgia Bussolin
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Titolo tesi - “La difficile attuazione della presunzione di innocenza dell’imputato a livello nazionale ed europeo”
Abstract - L’articolo 27 comma 2 della Costituzione italiana riconosce solennemente che: “L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.
Essa, in qualità di garanzia costituzionale, dovrebbe guidare e vincolare il legislatore, tutti gli operatori giuridici e i cittadini stessi. Nonostante ciò, la sua forza vincolante ed effettività sono concretamente di difficile attuazione.
Sono passati più di 200 anni dal momento in cui, per la prima volta, questo principio fondamentale ha ottenuto un esplicito riferimento normativo, elevandosi a norma di diritto positivo (Articolo 9 della Déclaration des droits de l’homme et du citoyen del 1789). Oggi, come allora, la presunzione di innocenza gode di un espresso riconoscimento giuridico, ma ora è il più alto riconoscimento che le si possa attribuire, trattandosi di un principio di rango costituzionale, solennemente riconosciuto anche a livello internazionale dalle più importanti Carte
Tuttavia, istituti come il sistema delle misure di prevenzione hanno l’effetto di privare di effettività la presunzione costituzionale, incatenandola a mera enunciazione di principio, così forte sulla carta quanto debole nella sua applicazione giuridica. L’articolo cristallizzato dalla disposizione di cui all’articolo 27 comma 2 della Costituzione si trasforma in dato indiscutibile, lasciando passare inosservata la sua reale applicazione nella dinamica processuale.
Se la presunzione in esame postula il diritto dell’imputato a non subire alcuna restrizione della sua libertà personale prima che la sua responsabilità penale venga accertata con un giudizio definitivo, non si giustifica la presenza nell’ordinamento di un istituito che ha proprio l’effetto indesiderato (meglio, vietato dalla stessa Costituzione) di provocare una compressione di importanti diritti di un individuo prima che la sua responsabilità da reato venga accertata con sentenza definitiva, anzi ancor prima che un reato venga commesso.
Non sempre il legislatore è in grado di garantire il pieno rispetto del valore al quale ha formalmente aderito. La Corte Europea dei diritti dell’uomo, insieme alla Corte costituzionale e al legislatore italiano, neanche troppo nascostamente, rinnegando talvolta la concezione normativa della presunzione di innocenza, tentano di restringerne la portata in quanto scomodo ostacolo rispetto al raggiungimento di obiettivi di efficienza della repressione penale.
L’obiettivo ultima della ricerca è quello di analizzare le ragioni per cui la presunzione di innocenza, fortissima enunciazione di principio, entra in grave crisi nella sua applicazione pratica, determinando una forte discrasia tra law in books e law in action. Il principio in questione offre un ampissimo spazio di ricerca, specialmente ora che le istituzioni sembrano averlo riportato al centro del dibattito, come dimostra la Direttiva n. 343 del 2016 “sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali”, a cui l’Italia ha dato recente attuazione con decreto legislativo n. 188/2021, allo scopo di arginare un fenomeno emblematicamente esemplificativo della difficile attuazione della presunzione di innocenza dell’imputato: il c.d. “processo mediatico”.